HO INCONTRATO DUCHAMP ALL’ESSELUNGA

fleur de sel de Camargue - foto di eloj
fleur de sel de Camargue – foto di eloj

Stamattina di fronte allo scaffale del sale al supermercato ho avuto una folgorazione: accanto alle confezioni da kg di sale fino e grosso a prezzi che oscillavano tra i 20 e gli 80 centesimi ho visto una confezione cilindrica di cartone con tappo in sughero che mi è subito risultata familiare.
Si tratta di “fleur de sel de Camargue” cioè quella cristallizzazione sottile che si forma sulla superficie dello strato di sale, ancor prima che l’acqua nelle vasche della salina sia completamente evaporata, che viene raccolta ancora a mano dai “Sauniers” e – dicono – abbia caratteristiche organolettiche più pregiate rispetto al comune sale che poi verrà raccolto con mezzi meccanizzati.

Salina du Midi di Aigues Mortes - foto di eloj
Salina du Midi di Aigues Mortes – foto di eloj

Ebbene ricordo di aver comprato quella scatoletta cilindrica durante la visita alla Salina du Midi di Aigues Mortes. L’ho comprata non con l’intenzione di usarne il contenuto in cucina ma per avere un ricordo di quella visita, un oggetto tangibile e duraturo da poter mettere nella vetrinetta insieme agli altri “ricordi di viaggio”. Ogni oggetto in quella vetrina ha un sapore particolare per me, mi riporta immediatamente al luogo e al posto in cui è stato acquistato o trovato o reperito. Non si tratta di pezzi di valore, o almeno quasi nessuno: hanno per me una valenza affettiva e rammemorativa.

tazzina_di_terracotta
tazzina per il chai – foto di eloj

L’oggetto a cui sono più affezionato è una tazzina di terracotta fatta a mano nella quale mi è stato servito il tè su un treno indiano, in una di quelle soste in stazione durante le quali decine di venditori entrano nei vagoni proponendo la loro mercanzia, per poi ridiscenderne un attimo prima che il treno riparta: si tratta di una tazzina usa e getta, come potrebbe essere un bicchiere di plastica dalle nostre parti, solo fatta in terracotta. La conservo come una reliquia perché ogni volta che la riprendo in mano e ne percepisco la rugosità mi riporta a quel viaggio, a quel trasferimento in treno e soprattuto mi parla di una cultura completamente differente dalla mia, dove è più conveniente e forse pratico usare la terracotta al posto della plastica.
Stamattina lo stupore è stato duplice: intanto per aver ritrovato all’Esselunga di Viareggio la stessa confezione comprata in Camargue dove essa viene prodotta, e poi per averla pagata soltanto dueeuroesettantuno contro i quattro o cinque spesi nella terra d’origine.

readymade - tratto da internet
readymade – tratto da internet

Non ho potuto non pensare a Duchamp e ai suoi ready made, cioè a quegli oggetti d’uso comune – il più famoso dei quali è il famoso orinatoio firmato con lo pseudonimo R. Mutte e datato 1917 – che posizionati in un museo o in una galleria espositiva si trasformavano in oggetti d’arte.
Questa idea Duchampiana che poneva l’artisticità di un oggetto non più in una sua qualità estetica, fisica o realizzativa ma in una semplice dichiarazione di artisticità da parte dell’artista (e ovviamente del gallerista che lo assecondava esponendo l’opera in uno spazio pubblico) ha sconvolto nei primi anni del 900 gli ambienti artistici e tutt’ora ha ricadute positive e negative sull’arte contemporanea.
Positive perché questo terremoto ideologico ha aperto le porte di musei e gallerie a forme ed espressioni artistiche nuove; negative perché in questo marasma produttivo diventa veramente difficile ritrovare una matrice artistica oggettiva dipendente da qualche criterio condiviso.

art basel - foto di eloj
art basel – foto di eloj
art basel - foto di eloj
art basel – foto di eloj

Girando per fiere dell’arte e gallerie in giro per l’Europa, non è difficile per me riscontrare nelle opere esposte quest’idea Duchampiana di arte come dichiarazione: mi capita di vedere spesso opere sia fotografiche che pittoriche ma soprattutto istallazioni che mi portano obbligatoriamente a chiedermi se sia io a non possedere gli strumenti giusti per apprezzarle o se non siano piuttosto queste opere, degli enormi ammassi di ready-made per i quali sia necessario compiere un atto di fiducia per definirli “artistici”. Credo che la verità stia nel mezzo.
Ma torniamo per concludere a Duchamp incontrato all’esselunga.
Le confezioni si differenziano soltanto per una copertura illustrata in carta tutt’intorno alla confezione, che mostra l’ambiente delle saline con qualche fenicottero e una scritta in caratteri più grandi su sfondo chiaro che risulta più leggibile rispetto a quella dell’altra confezione, che esibisce scritte più piccole e una delicata riproduzione a matita dei luoghi; per il resto le confezioni sono identiche così come il loro contenuto.
Nel metterle vicine per il confronto e nel mostrarle ad un familiare ho finito per non essere più certo di quale sia delle due l’“ORIGINALE”. “Ma sono uguali!” mi si potrebbe rispondere, “che differenza vuoi che faccia se nella vetrina metti una o l’altra?”
Ma come? Allora le parole di Duchamp non vogliono dire niente?
Quelle due confezioni hanno per me delle valenze completamente differenti: una è un ricordo di un viaggio e di un luogo, che ho scelto di acquistare tra altri souvenirs più o meno pacchiani e di custodire gelosamente nella mia vetrinetta mostrandola agli amici insieme alle uova di struzzo decorate, alle zanne di facocero e alle zucche Peruviane intagliate con storie contadine; l’altra è un pregiato sale da cucina da usarsi con parsimonia e da esibire magari durante qualche cena con amici. Ma tutte queste valenze attribuite ad una confezione sono soltanto sovrastrutture mentali, connotazioni che io appiccico in modo soggettivo a quella confezione senza alcun legame con proprietà o caratteristiche dell’oggetto in sé.
Ora finchè non sarò tornato all’Esselunga per accertarmi di quale sia la confezione acquistata stamattina, le lascerò intatte entrambe: non potrei mai perdonarmi il fatto di aver aperto la confezione sbagliata e non potrei mai mettere il sale dell’Esselunga nella vetrinetta insieme agli altri cari ricordi.
E tutto ciò non solo è lecito ma anche ragionevole, come è ragionevole osservare l’orinatoio di Duchamp (in realtà una copia autenticata di quello originale che è andato perduto) nella Galleria Nazionale a Roma ripensando alla rivoluzione artistica e culturale che esso ha determinato, e usare invece le molteplici copie presenti nei bagni degli autogrill sull’autostrada per svolgere la più ordinarie ma altrettanto soddisfacenti funzioni fisiologiche quotidiane.

IL DITO – (un pomeriggio di domenica a speaker’s corner – london)

il dito - fotocollage di eloj
il dito – fotocollage di eloj

C’erano elementi ed atteggiamenti codificati e stereotipati in quegli oratori domenicali:
– un libro a cui far riferimento come depositario dell’unica verità
– l’allusione a qualcosa di superiore che giustificasse la loro presenza e il loro eloquio in qualità  di apostoli, di persone illuminate capaci di diffondere il verbo
– infine l’ammonimento per i presenti, ad attenersi a quanto da loro detto, se volevano sperare in una salvezza divina.

MA……..

– i libri erano molti
-“lassù” doveva essere abbastanza affollato
– infine i presenti si spostavano da una parte all’altra, impossibilitati quindi ad attenersi – pur volendo – a indicazioni spesso in contraddizione tra loro.