L’ACQUEDOTTO DEL NOTTOLINI

L’acquedotto in stile romano, che dalle colline di San Quirico portava l’acqua alla città di Lucca, fu progettato dall’architetto regio Lorenzo Nottolini su delibera della duchessa di Lucca, Maria Luisa di Borbone (qui potete trovare notizie dettagliate: acquedotto del Nottolini). I lavori iniziarono nel 1823 e si protrassero, a causa di interruzioni, fino al 1851 anche se già dal 1832 l’acqua potabile arrivava sino in piazza S. Martino.
Sarà forse perchè fu lo stesso Nottolini a redigere il piano regolatore del 1825 per l’espansione di Viareggio, o forse perchè il tempietto in stile neoclassico che delimita la parte sopraelevata dell’acquedotto è proprio dietro la stazione di Lucca, raggiungibile in treno da Viareggio alla modica cifra (si fa per dire!) di 3 euro e 40 centesimi, fattostà che ho deciso di andarlo a vedere, munito ovviamente di macchina fotografica.
Ne è uscito un lavoro che definirei “onesto”, visto che è stato realizzato nell’arco di qualche ora, senza alcuna preparazione o conoscenza del luogo.
Ho cercato di mettere in luce una serie di aspetti:
-l’architettura sia della parte aerea che di quella interrata, sino ai canali di raccolta delle acque.
-come il successivo sviluppo urbanistico si sia generalmente adeguato alla presenza dell’acquedotto e come sia stato invece necessario distruggerne una parte per il passaggio dell’autostrada A11 (Firenze-Mare) costruita tra il 1928 e il 1932.
-come quella zona è vissuta dai cittadini.

(eloj)

IL PARADOSSO DELLA FOTOGRAFIA NATURALISTICA

Mi è capitato per caso sottomano lo Sketchbook di un famoso fotografo naturalista:

“Progetti da realizzare nel 2016

-Pitone che cinge con le sue spire un elefante e lo fagocita lentamente

Materiale occorrente e cose da fare:
-comprare presso bracconieri elefante nano
-assoldare 10 persone per lungo massaggio emolliente di qualche ora al pitone per rendere la pelle elastica, prima dell’inizio delle riprese.

-Le 25 posizioni del Kamasutra della libellula

Materiale occorrente:
-Procurarsi un bidone di feromoni dallo zio Antonio che lavora nei laboratori sperimentali della Vichy

-Funghi e Serpenti

Materiale occorrente e cose da fare:
-Spruzzini con beccucci di varia forma per simulare pioggia, brina e ogni possibile fenomeno atmosferico.
-Pannelli di vari colori.
-Contattare Gregory Crewdson per allestimento scena.

-Migrazione di oche e anatre

Materiale occorrente:
-drone
-noleggiare superleggero con pilota

N.B.: ricordarsi di cambiare modello di drone rispetto a quello usato nel 2014 che aveva le eliche parzialmente scoperte, ed evitare di prendere come pilota Bill, perchè beve troppo; l’ultima volta abbiamo fatto una strage e ho ancora la ghiacciaia piena di anatidi.”

La fotografia naturalistica – e mi riferisco in particolare a quel sottogenere che si occupa di animali insetti e quant’altro – è quanto di più lontano vi possa essere dal mio modo di vivere ed intendere la fotografia.
Mi definisco ormai da tempo, a torto o a ragione, un “fotoespressivo”, per uscire dalla paludosa terminologia che solitamente contrappone il fotografo professionista al fotoamatore: tolto forse l’unico elemento che distingue le due categorie, e cioè il fatto che il primo ricavi un’entrata economica (comprensiva di iva) dalle proprie fotografie mentre il secondo generalmente abbia soltanto delle uscite, non trovo altre differenze sostanziali e anzi, spesso e volentieri, dei fotografi professionisti apprezzo molto di più i lavori che hanno fatto nel tempo libero, quando anch’essi indossavano gli abiti del fotoamatore. Ma dicevo “lontano dal mio modo di vivere la fotografia”, per un semplice motivo: loro tendenzialmente cercano soggetti che di per sé abbiano forza visiva e per far questo si rendono spesso invisibili – sia fisicamente, con i loro appostamenti mimetici, che concettualmente – in quanto è il soggetto con il suo comportamento, possibilmente inconsueto o eccezionale che deve avere il massimo risalto; io tendenzialmente sono più attratto e stimolato da soggetti marginali per importanza e deboli per forza visiva, soggetti che vediamo tutti i giorni e a cui non facciamo più caso, e cerco di interpretarli, mostrandoli per quanto possibile nei loro aspetti meno noti. Nel mio caso si tratta quindi di un processo realizzativo che muove dall’interno verso l’esterno, e cioè la principale spinta propulsiva è quella di realizzare fotografie che il più possibile esprimano il mio personale modo di vivere ed osservare la realtà, in contrapposizione spesso alle modalità e alle forme nelle quali mass media, politica ed economia sono soliti mostrarcela.

foto di eloj
foto di eloj

Ma c’è un’altra differenza sostanziale: il mio è un processo di semplificazione e sfrondamento della realtà. In definitiva tendo ad una scomposizione dell’elemento reale: vorrei che quasi non si riconoscesse per le funzioni e gli usi che solitamente ha; vorrei che perdesse il nome, cioè quell’etichetta sociale che porta con sé troppe implicazioni e sovrastrutture, per diventare in ultima analisi somma dei suoi costituenti elementari: colore, linee, forme e luce.

immagine presa da internet
immagine presa da internet

Quello dei fotonaturalisti al contrario è un processo che tende ad una maggior complessità: non è più sufficiente ormai fotografare un animale nel suo ambiente, perchè è già stato fatto migliaia di volte; è necessario adesso fotografarlo in un contesto capace di creare ancora stupore e meraviglia nell’osservatore ormai assuefatto da centinaia di documentari e immagini mirabolanti; ed è necessario cogliere il soggetto in atteggiamenti o comportamenti eccezionali, meglio se trattasi di anomalie comportamentali, cioè qualcosa che tipicamente quella specie o quel genere di animale non fa.

Ed ecco il paradosso: il fotografo naturalista, che forse più di altri dovrebbe restituirci una realtà “non mediata”, pura e genuina, si trova costretto per motivi di mercato a creare, attraverso una serie di espedienti più o meno condivisibili, una realtà virtuale attraverso ambientazioni degne di una scenografia teatrale e a ricercare comportamenti e atteggiamenti animali mai visti prima, utilizzando tecniche di ripresa che spesso finiscono per travalicare quelli che dovrebbero essere i precipui scopi di quel genere di fotografia.

Mi chiedo, dopo questo bombardamento visivo, per quanto tempo ancora proveremo stupore di fronte allo spettacolo della natura, quello vero, che va in replica da milioni di anni.

(eloj)